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Archivio dei quesiti de Il Torresino
 

Punto elenco Quesito:

OGGETTO: imposte dirette, in particolare affitto d’azienda ed ammortamento dei beni aziendali da parte dell’affittuario: trattamento fiscale dell’eventuale differenza tra i valori dei beni fiscalmente riconosciuti, trasferiti al momento dell’inizio del contratto di affitto, ed il valore dei beni (comprensivo dell’eventuale conguaglio) ritrasferiti dall’affittuario al concedente alla cessazione del rapporto.

NORMATIVA DI RIFERIMENTO: art. 67 D.P.R. 917/86, art. 2561, comma 4 del C.C.

si chiede quale sia il trattamento fiscale dell’eventuale differenza tra i valori dei beni fiscalmente riconosciuti, trasferiti al momento dell’inizio del contratto di affitto ed il valore dei beni (comprensivo dell’eventuale conguaglio ai sensi dell’art. 2561 IV comma C.C.) ritrasferiti dall’affittuario al concedente alla cessazione del rapporto.

Premesso

– che la società Alfa ha stipulato un contratto d’affitto d’azienda con la società Beta, dove Alfa è l’affittuario di un ramo d’azienda della società Beta;

– che nel contratto di cui sopra le parti non hanno convenzionalmente derogato all’obbligo imposto dal secondo comma dell’art. 2561 C.C., per cui è rimasta in capo all’affittuario la possibilità di portare in deduzione le quote di ammortamento ex art. 67 e 68 del TUIR e con le modalità previste dall’art. 14, I comma DPR 42/1988;

– che alla cessazione del contratto di affitto il valore fiscalmente riconosciuto, ritrasferito dall’affittuario al concedente (compreso l’eventuale conguaglio è inferiore a quello originariamente trasferito dal concedente all’affittuario.

SOLUZIONE PROSPETTATA

L’art. 67, nono comma e l’art. 68 quarto comma del TUIR attribuiscono all’affittuario la deduzione delle quote di ammortamento dei beni delle aziende date in affitto.

I criteri per la determinazione e la concreta deducibilità di tali quote di ammortamento sono stabiliti dall’art. 14 del DPR n. 42/1988 il quale prevede che esse si commisurino "al costo originario dei beni quale risulta dalla contabilità del concedente" e che siano deducibili "fino a concorrenza del costo non ancora ammortizzato ...".

L’esplicita attribuzione all’affittuario della facoltà di ammortizzare i beni dell’azienda affittata ha alimentato un notevole dibattito dottrinale incentrato su chi fosse il soggetto (affittuario o concedente) legittimato a dedurre civilisticamente l’ammortamento dei beni.

Una parte della dottrina, peraltro autorevole, ha tentato di coordinare la disciplina fiscale dell’ammortamento delle aziende date in affitto alla luce della corrispondente disciplina civilistica.

In quell’ottica, e partendo dal presupposto che i beni aziendali restino di proprietà del concedente e dunque debbano rimanere iscritti nell’attivo del suo stato patrimoniale, e considerando distorsiva la deduzione dei costi di acquisizione dei cespiti da parte di un soggetto diverso da quello che li ha originariamente sostenuti, i sostenitori di questa tesi hanno affermato che l’affittuario non potrebbe operare alcun ammortamento in senso tecnico; perciò quello che il TUIR intenderebbe consentirgli sarebbe in realtà un accantonamento per la costituzione di un fondo diretto ad indennizzare il proprietario del deperimento dei beni facenti parte dell’azienda, così come stabilisce la disciplina civilistica in materia di affitto di azienda.

L’art. 2561 C.C., richiamato dall’art. 2562 C.C., infatti dispone che "l’affittuario deve gestire l’azienda senza modificarne la destinazione ..., e che la differenza tra le consistenze d’inventario all’inizio e che a termine del rapporto di affitto è regolata in denaro, sulla base dei valori correnti finali".

I sostenitori di questa tesi concludono poi che l’eventuale differenza tra ammontare delle quote accantonate dall’affittuario e somma dovuta al proprietario, a titolo di risarcimento per il deperimento e consumo dei cespiti, rappresenti per l’affittuario una sopravvenienza passiva detraibile per la part eccedente il fondo e una sopravvenienza attiva tassabile nell’ipotesi inversa. Di converso il conguaglio in denaro percepito dal concedente al termine del contratto costituirà provento tassabile.

L’esemplificazione ce segue dimostra che la soluzione sopra prospettata non è condivisibile.

Si ipotizzi per semplicità che i valori fiscalmente riconosciuti (costo non ammortizzato) inizialmente trasferiti all’affittuario siano pari a 100 e che l’affittuario, alla cessazione del rapporto di affitto restituisca valori fiscalmente riconosciuti, comprensivi del conguaglio, per un ammontare di L. 40.

Tale eccedenza si determina per ammortamenti effettuati dall’affittuario superiori all’indennizzo pagato e più precisamente:

Valore beni originariamente ricevuti:

Costo di acquisto 200

Fondo Ammortamento (100)

Valore fiscalmente riconosciuto (A) 100

Valore beni restituiti:

Costo acquisto beni ricevuti da concedente 200

Fondo ammortamento (190)

Valore fiscalmente riconosciuto (B) 10

Conguaglio (pari alla differenza in valori

correnti tra la consistenza di inventario

iniziale e finale), pagato dall’affittuario al

proprietario (C) 30

Differenza tra i valori dei beni fiscalmente

riconosciuti, trasferiti al momento dell’inizio

del contratto di affitto ed il valore dei beni

(comprensivo del conguaglio) ritrasferiti

dall’affittuario al concedente alla cessazione

del rapporto (A-B-C) 60

Continuando nell’esempio e facendo riferimento alla tesi sopra enunciata si otterrebbe che:

l’affittuario realizzerebbe una sopravvenienza attiva tassabile di L. 60 (pari all’intero ammortamento effettuato meno il conguaglio pagato) ed il concedente dovrebbe realizzare una sopravvenienza attiva, anch’essa tassabile di L. 30 (pari al conguaglio in denaro percepito).

È evidente come tale conclusione sia ingiusta, in quanto a nessuna delle parti, in questo modo, sarebbe concesso l’ammortamento dei beni.

Si ritiene invece che l’esplicita attribuzione all’affittuario della facoltà di ammortizzare i beni, consenta a quest’ultimo di dedursi definitivamente gli ammortamenti, essendo questo un vantaggio espressamente riconosciutogli dal TUIR.

Tale affermazione è confortata dal fatto che il legislatore fiscale ha previsto a favore dell’affittuario anche gli ammortamenti dei beni immateriali (art. 68 quarto comma del TUIR) a fronte dei quali male si adatta il concetto perimento e logorio dei beni.

Si ritiene pertanto che il legislatore fiscale, abbracciando l’impostazione dottrinale secondo la quale il logorio ed il perimento dei beni gravano sull’affittuario, abbia poi voluto incentivare l’impresa e quindi l’affittuario concedendogli l’agevolazione di dedursi gli ammortamenti a fronte di costi non sostenuti.

Per riconoscere perciò una razionalità all’attuale disciplina sotto il profilo fiscale e per evitare salti o duplicazioni di imposta dobbiamo quindi concludere che la momento della restituzione dei beni, la differenza tra i valori dei beni fiscalmente riconosciuti, trasferiti al momento dell’inizio del contratto di affitto ed il valore dei beni (comprensivo del conguaglio) ritrasferiti dall’affittuario al concedente alla cessazione del rapporto, nel nostro esempio pari a L. 60, non costituisca una sopravvenienza attiva tassata in capo all’affittuario e allo stesso modo che l’eventuale indennizzo pagato non costituisca un provento tassabile in capo al concedente.

Indubbiamente l’accostamento delle norme tributarie a quelle civilistiche non è tra quelli meglio riusciti, ma una soluzione pratica e corretta che potrebbe riconciliare le due discipline è quella di dedurre gli ammortamenti concessi fiscalmente attraverso opportune rettifiche in diminuzione del reddito imponibile nella dichiarazione dei redditi dell’affittuario, rientrando tali costi, nella previsione di cui all’art. 75, quarto comma, TUIR. Tale disposizione si riferisce appunto a quei componenti negativi di reddito che, pur non risultando imputabili al conto profitti e perdite, sono comunque deducibili per disposizione di legge con il metodo delle variazioni in diminuzione in sede di dichiarazioni dei redditi.

L’eventuale conguaglio in denaro da corrispondere al proprietario, che nella pratica è concordato dalle parti senza attendere la cessazione dell’affitto e spesso sulla base di criteri predeterminati, potrebbe essere accantonato dall’affittuario in costanza di rapporto di affitto, attraverso la costituzione di un apposito Fondo Reintegrazione Tassato.

 

RISPOSTA

Imposte sui redditi – Reddito d’impresa – Affitto d’azienda ed ammortamento dei beni aziendali da parte dell’affittuario: trattamento fiscale dell’eventuale differenza tra i valori dei beni fiscalmente riconosciuti, trasferiti al momento dell’inizio del contratto di affitto, ed il valore dei beni (comprensivo dell’eventuale conguaglio ai sensi dell’art. 2561, comma 4 del C.C.) ritrasferiti dall’affittuario al concedente alla cessazione del rapporto.

Nell’ambito delle procedure di consultazione definite con il protocollo d’intesa sottoscritto con gli Ordini dei Dottori Commercialisti dell’Emilia Romagna è stato chiesto di conoscere, nell’ipotesi di affitto di azienda e di ammortamento dei beni aziendali da parte dell’affittuario, il trattamento fiscale dell’eventuale differenza tra i valori fiscalmente riconosciuti dei beni trasferiti al momento dell’inizio del contratto ed il valore dei beni medesimi – comprensivi dell’eventuale conguaglio ai sensi dell’art. 2561, comma quarto, C.C. – ritrasferiti dall’affittuario al momento della cessazione del rapporto locativo.

Com’è noto, l’affitto d’azienda, è regolato dall’art. 2561 del C.C. – disciplinante l’usufrutto di azienda – per effetto del rinvio contenuto nell’art. 2562 C.C.

In virtù del contratto di affitto la proprietà dei beni aziendali permane in capo al locatore; l’affittuario avrà il godimento dell’azienda, con i relativi obblighi.

La normativa civilistica prevede altresì il regolamento in denaro della differenza tra le consistenze d’inventario all’inizio ed al termine dell’affitto, sulla base dei valori correnti al termine dell’affitto stesso.

Premesso che a nulla rileva, in questa sede, il dibattito dottrinario volto ad individuare il soggetto su cui grava il logorio ed il perimento dei beni nel caso in cui le parti non abbiano derogato all’obbligo imposto dal secondo comma dell’art. 2561 C.C., in quanto il legislatore tributario ha attribuito (artt. 67, comma 9, e 68, comma 4, del Testo Unico delle imposte sui redditi) all’affittuario la possibilità della deduzione di quote di ammortamento dei beni delle aziende date in affitto, occorre fare riferimento alle specifiche disposizioni che disciplinano la materia.

L’art. 14 del D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, prevede la commisurazione delle quote di ammortamento al costo originario dei beni quale risulta dalla contabilità del concedente, stabilendone la deducibilità fino a concorrenza del costo non ancora ammortizzato ovvero considerando dedotte, per il 50%, le quote relative al periodo di ammortamento decorso, qualora il concedente non abbia tenuto regolarmente il registro dei beni ammortizzabili.

L’art. 81, comma 1, lettera h), del citato Testo Unico attrae nell’ambito dei redditi diversi quelli derivanti dall’affitto dell’unica azienda da parte dell’imprenditore e le plusvalenze realizzate, in caso di successiva vendita. Tali plusvalenze, in relazione al disposto del successivo art. 85, comma 2, saranno determinate a norma dell’art. 54, del medesimo T.U.

L’affittuario dovrà, quindi, prendere visione del registro dei cespiti ammortizzabili del concedente e tenere un proprio registro dei beni ammortizzabili, sul quale saranno annotati i dati riguardanti i singoli beni strumentali.

La deducibilità delle quote è legata all’imputazione al conto economico con contropartita contabile di un fondo di ammortamento; i beni saranno iscritti tra i conti d’ordine in analogia ai beni acquistati in leasing (in tal senso Leo, Monacch, Schiavo, Roxas, Le Imposte sui redditi, Milano, 1996, p. 992).

Trattandosi di un fondo di ammortamento che non ha natura rettificativa di valori patrimoniali iscritti nell’attivo del bilancio appare evidente che si tratta di un fondo anomalo, improprio; in sostanza non legato tanto all’effettivo deperimento e logorio dei beni stessi quanto all’accantonamento necessario per reintegrare l’eventuale perdita di valore subita dai beni aziendali durante il periodo di affitto in conseguenza del loro deperimento e consumo.

L’innovazione introdotta dal richiamato Testo Unico con riferimento alla possibilità di deduzione delle quote di ammortamento da parte dell’affittuario va interpretata come riconoscimento del costo derivante dalla differenza tra le consistenze, iniziale e finale, dell’inventario; costo che si forma nell’intero periodo di affitto dell’azienda. La determinazione in base ai coefficienti di ammortamento assume un carattere parametrico.

In relazione a quanto precede, è l’importo del conguaglio che deve incidere fiscalmente sul bilancio dell’affittuario, con la conseguenza che sarà determinata una sopravvenienza attiva o passiva a seconda che le quote accantonate siano superiori o inferiori all’importo del conguaglio.

Per quanto riguarda la posizione del locatore, i proventi derivanti dall’affitto sono redditi diversi o d’impresa a seconda che lo stesso sia o meno titolare di un’unica azienda.

Con riferimento al conguaglio, si ricorda che esso deriva dalla differenza, effettuata sulla base dei valori correnti, delle consistenze inventariali di inizio e termine locazione.

Quindi, l’affittuario dovrà procedere alla chiusura dei conti, riconosciuti ai fini fiscali, per la riconsegna al locatore che, in caso di continuazione dell’attività, dovrà proseguire dagli stessi valori fiscali.

Il saldo emergente dal raffronto, a valori fiscali, dei netti patrimoniali, iniziale e finale, rappresenta la reintegrazione patrimoniale per il deperimento dell’azienda riconosciuto fiscalmente; la differenza tra l’importo del conguaglio ed il suddetto saldo costituisce una sopravvenienza tassabile o deducibile in capo al locatore.




 

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